(e nei vicoli della Campania si sente bisbigliare: “Tengo ‘o ggrano p’‘a pastiera…”)
È Primavera ed ecco che iniziano i lunghi preparativi per la PASTIERA, come vuole la nostra tradizione. Eh, già, perché questo “dolce”, molto particolare, è antico quanto Napoli o meglio, quanto la leggenda della bellissima sirena Partenope che un giorno, di un tempo dimenticato in un’ora sconosciuta, s’innalzò sulle acque del Golfo e annunciò la Primavera in un modo tutto nuovo: uscì da esse “come venere da un’onda” reggendosi sulla coda, il respirò del mare si arrestò, i gabbiani in silenzio si appollaiarono sulle onde formandole tutt’intorno una bianca e fitta ghirlanda di piume, i colori del cielo e del mare si fusero in un uno, creandole uno sfondo surreale dal quale la sua fascinosa figura si stagliò come il sole che tramonta nel rosso di sera e si mise a cantare.
“Partenope teneva ‘na vesta e luce janca, Partenope pareva ‘e vulà, ngopp’ e calanche”¹
Girò lentamente su sé stessa e poi si fermò con le spalle al Vesuvio dirigendo la sua voce verso Bacoli con le mani semiaperte ai lati della bocca. Quel nitido canto poco per volta si estese su tutto il Golfo. Tutti lo udirono. Era di “una forma tutta nuova” come il modo di annunciare la Primavera. La voce indescrivibilmente soave attraversò mare e monti sempre più limpida, come l’acqua della Pietrasanta. Tutta Napoli fu avvolta da una brezza leggera, un velo inebriante. Il mare, il Vesuvio, i vicoli, gli antichi monumenti e le colonne, fluttuavano come il calore che sale dalla terra nelle calde estati. Era un canto d’amore melodioso ma penetrante. Ogni anima ne fu sedotta. Gli uomini furono raggiunti da una passione ardente e il cuore delle donne andò in deliquio. Oltre al suono suggestivo della voce anche le parole, intessute in una trama tutta nuova, ora scavavano nel profondo e ora accarezzavano, ora rassicuravano e ora commuovevano. Avevano un effetto delizioso, caloroso, esortante, sensuale, festoso, Napoli era in estasi. Mai momento fu più ri-creativo di quello. Partenope ricreò il paradiso in terra di Dio quando affidò agli uomini la possibilità di stare tutti bene insieme con le bellezze che ne avrebbero ricavato. Nelle case, nelle strade, nei campi e sulle spiagge, tutti sembravano come in preda di un sentimento tutto nuovo, lo stesso che oggi dimenticano dopo essersi totalmente abbandonati ai baci d’amore.
“È ll’anema che s’annammora, nunn’è ‘o core …”², cantava.
Quando il canto finì, sembrò che fosse trascorso un tempo indefinibile. Tutto sembrava diverso eppure tutto era immutato.
Sette giovani donne dei sette quartieri di Napoli, come se si fossero accordate, si ritrovarono tutte insieme al villaggio dei marinai (oggi in via Partenope) con un sacchetto di juta tra l mani. Si guardarono l’un l’altra sbigottite poi, gioiose, poggiarono una alla volta i sacchetti sui sassolini neri e luccicosi della riva e agitarono le braccia verso la sirena invitandola ad avvicinarsi mostrando un’espressione di gratitudine. La bellissima Partenope, con un sorriso di compiacimento non si fece attendere, frullò la coda nell’acqua e si avvicinò spedita alla spiaggia una vasta scia di spuma bianca dietro di sé che solcò quel mare azzurro e placido. Mano a mano che si avvicinò, le giovani indietreggiarono come per istinto ma tenendo fissa quello sguardo grato. Quando si sentirono al sicuro, si fermarono. Lei, arrivata a riva, raccolse i sacchetti allungando le mani e senza uscire interamente dall’acqua. I suoi lunghi capelli si aprirono sul bagnasciuga come una rete d’oro.
Partenope stev’ ferm’ ‘ngopp ‘a rena cucente, Partenope stev’ ‘a ‘nnur’, senza nient’
Poi infilò la mano in ognuno dei sacchetti e vi trovò:
- una Ricotta fumante racchiusa in un piccolo cesto intrecciato (simile alle vecchie tombole napoletane) per chiedere AMORE (il latte riconduce alla maternità);
- delle Uova ancora calde, per chiedere RISPOSTE (rappresentano il Mistero della vita);
- un paio di manciate di frumento (chicchi di Grano) già bollito (per poterlo consumare immediatamente come era d’uso nell’antichità), per chiedere LUNGA VITA (il grano rappresenta nel suo ciclo la Rinascita);
- grossi grani di Zucchero color ambra, per chiedere FLESSIBILITÀ (specialmente nelle avversità: lo zucchero viene estratto dalle canne le quali si flettono al vento senza spezzarsi);
- delle profumatissime bucce giallo-verdi di Cedro tagliuzzate, per chiedere FORZA (come quella che possiedono i maestosi cedri del Libano);
- essenze di millefiori sulle quali prevaleva il profumo dei fiori d’Arancio, per chiedere UNIONE (perché questi ultimi sono per tradizioni fiori nuziali);
- cortecce arrotolate di Cinnamono (cioè Cannella) dette la “spezia dei re”. (utilizzate dall’Araba Fenice – l’uccello che risorge dalle proprie ceneri – per fare il suo nido), per chiedere PROTEZIONE.
Senza mostrare alcuna sorpresa, arretrò scivolando nell’acqua dolcemente, fece un cenno di rassicurazione con gli occhi e scomparve come un miraggio. Nessuno delle giovani la vide mai inabissarsi. Scomparve così, come un sogno, come un prodigio, in un batter di ciglia e se non fosse stato per l’allegria che tutte avevano provato e ancora serbavano nel cuore alo stesso modo, avrebbero potuto anche pensare di essere pazze.
Partenope era ‘nu mare senza rezz’, Partenope era ‘nu sciuscio d’allerezza ³…
Perché erano accorse solo le donne? Beh, semplice, per rappresentare la perpetuazione della vita e il potere della bellezza.
Da allora, per ricordare quei “DOLCI MOMENTI” di rapimento d’amore e di dolcezza, ogni Primavera le donne impastano questi sette ingredienti, che richiedono sette giorni totali per la loro preparazione finale, vi applicano sull’amalgama sette strisce di pasta incrociate a losanghe e li cuociono in un forno a legna per sprigionarne il profumo. Durante la cottura il profumo è inebriante come il canto della sirena e dopo, quando si raffredda e solidifica, la fragranza è dolce come la sua voce.
Questa è la nostra “PASTIERA” (il nome deriva da “impastare”, cioè mischiare acqua e farina) e rappresenta la regina delle “feste di Primavera” (oggi rappresentate da quelle di Pasqua); su ogni nostra tavola trionfa nel suo rito di condivisione come una saggia sovrana che unisce tutti. Persino i giovani amano condividerla tra amici durante la Pasquetta.
Oltre alla leggenda di Partenope vi sono tradizioni arcaiche che hanno anche un fondamento storico. Infatti il grano cotto e le uova sono presenti nei riti pagani che celebravano la Primavera e l’impasto di farro cotto e ricotta (confarratio) in quelli nuziali. In tutti i casi, l’impasto della PASTIERA è collegato ai riti e al mondo religioso. Nel 1600, una sua piccola variante veniva preparata nelle feste pasquali dalle monache di San Gregorio Armeno e nel 1636 Giambattista Basile la città nella sua opera “La gatta Cenerentola”.
La “PASTIERA” oggi è tra i “Prodotti Agroalimentari Tradizionali Italiani” (PAT) ed è conosciuta, apprezzata e richiesta in tutto il mondo. I suoi ingredienti sono semplici, ma meno semplice è la sua preparazione e cottura che variano, per piccoli dettagli, da famiglia a famiglia e da quartiere a quartiere, poiché fedele ai “segreti” familiari tramandati. È a base di grano messo a mollo prima di essere infornato poi impastato con latte, zucchero, ricotta, uova, essenza di fiori d’arancia e un pizzico di cannella (e/o altre spezie). È morbida, profumata, cremosa, deliziosa. All’esterno è bruna mentre il suo interno è dorato; il colore sia esterno che interno cambia per sfumature di tonalità secondo il grado di cottura e il forno utilizzato (si preferisce quello a legna).
Allora, vogliamo farlo insieme per vivere “DOLCI MOMENTI”?
(G.Sinatore2022/S&T, per Dolci Momenti – Tutti i diritti riservati)
¹²³ Strofa di canzone popolare tratta da “Hieros Gamos”, G. Sinatore, 2019, edizioni S&T